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Commenti all'art.11 della Costituzione

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L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
(Costituzione, Articolo 11 )

L’art. 11 della nostra Costituzione non solo ripudia la guerra offensiva e di conquista; non soltanto quindi, in negativo, rifiuta di considerare il ricorso alla forza quale principale od esclusivo criterio per risolvere le controversie internazionali; ma, in positivo, disegna uno scenario rivolto a creare condizioni sempre più favorevoli al negoziato ed alla pacifica convivenza. Al fine di perseguire tali scopi la Costituzione promuove le organizzazioni internazionali (allora si pensava anzitutto all’ONU) e sovranazionali (come, in seguito, l’Unione Europea) che intendano «assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni», anche, in particolare, attraverso limitazioni di sovranità (una smodata valorizzazione della sovranità degli Stati costituì proprio una delle principali cause delle tragedie belliche verificatesi nella prima metà del ‘900).
L’art.11 disegna quindi una comunità internazionale fondata sul rispetto e la comunicazione reciproca, e si salda (ancora una volta in polemica con quanto accadde in Italia e nel mondo nei decenni precedenti all’approvazione della Costituzione) sia con quelle altre norme costituzionali che assicurano specifiche protezioni in generale agli stranieri ed in particolare a coloro che chiedono asilo politico (art. 10), sia con quelle che condannano il razzismo e la xenofobia (si ricordi l’art. 3 sul principio di eguaglianza senza distinzioni di razza).
Come spesso accade, coloro i quali scrivono le norme sono anche capaci di guardare al futuro (come è appunto accaduto per l’art. 11), ma sono pure, inevitabilmente, condizionati dal quadro concettuale nel quale vivono ed operano. Ciò è accaduto, in particolare, per la nozione di “guerra” così come presupposta dai costituenti. Essi la pensarono come un conflitto che spesso interviene tra Stati confinanti; che (art. 78 ed art. 87, nono comma) si dichiara (e ciò, nel mondo attuale, accade sempre meno); che vede in campo eserciti regolari (o, al più, formazioni partigiane); che si conclude con atti giuridici formali (armistizi, trattati di pace), ecc. E, ancora, l’art. 11 è stato pensato quando ancora non erano chiare le implicazioni di lungo periodo che sarebbero derivate dalle alleanze militari multilaterali che contrassegnarono per decenni la divisione del mondo in blocchi (NATO e Patto di Varsavia), né poteva tener conto della realtà del terrorismo organizzato su scala internazionale e delle drastiche novità che esso ha introdotto in relazione ai tradizionali conflitti bellici.
Quelli appena ricordati costituiscono solo alcuni degli elementi che hanno reso particolarmente controversa l’applicazione dell’art. 11 Cost. alle scelte ed ai comportamenti che l’Italia ha assunto, in particolare da un trentennio a questa parte, sulla scena internazionale.
Si sono fronteggiate, in sostanza, due interpretazioni. Da un lato si è fatto leva su di una valorizzazione della lettera dell’art. 11 (e sulla correlativa interpretazione il più possibile restrittiva del Trattato dell’ONU in tema di liceità della guerra) per sostenere l’illegittimità costituzionale di qualsiasi coinvolgimento dell’Italia (sia rispetto alle alleanze internazionali di cui fosse membro, sia rispetto alla partecipazione alle missioni all’estero) che non rientrasse nei rigidi schemi della pura, classica guerra di difesa strettamente legata ai confini del nostro Paese: una posizione che avvicina, se non identifica la posizione dell’Italia con quella di uno Stato neutrale. Dall’altro lato si è invece sottolineata l’esigenza, senza voler svuotare o sminuire il significato antibellicista dell’art. 11, di tenere conto, nella sua applicazione, delle profondissime trasformazioni, sopra ricordate, nel modo di porsi della guerra nel mondo attuale (guerre “a distanza”, invasioni/aggressioni di Stati da parte di altri Stati, più o meno intensamente censurate dall’ONU; attacchi terroristici, e correlativa organizzazione di basi logistiche; missioni di interposizione, di Peace Keaping, di emergenza umanitaria).
Ovviamente si tratta di materia incandescente, fortemente condizionata da eventi, talora imprevedibili, che incidono anche repentinamente sugli equilibri politici mondiali e regionali, ed indirettamente, ma non meno chiaramente, sulla posizione dell’Italia; così come profondamente segnata da posizioni ideologiche lontane o persino contrapposte, che rischiano non di rado di venire esasperate.
In questo difficile contesto viene a situarsi il nobile ed impegnativo contenuto dell’art. 11 della Costituzione.

Stefano Sicardi
Professore ordinario di Diritto Costituzionale
Università di Torino

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Caratteristica essenziale della Costituzione Repubblicana è quella di disegnare un grande progetto di convivenza civile che, pur pervadendone tutto il testo, emerge con chiarezza in alcune disposizioni.
Così il secondo comma dell’articolo 3, stabilendo che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e la effettiva partecipazione politica dei cittadini, indica con chiarezza quali dovranno essere i rapporti tra libertà ed autorità all’interno dei confini nazionali.
Nella stessa prospettiva deve essere letto l’articolo 11 che chiarisce il rapporto tra libertà ed autorità nell’ambito internazionale.
Dopo l’orrore della guerra fascista il Costituente vuole che l’Italia giochi il ruolo di promotrice della pace e della giustizia tra le nazioni.
Per permettere all’Italia di essere efficace in questa missione l’articolo 11 giunge a consentire limitazioni di sovranità, che, come sappiamo, hanno permesso al nostro paese di contribuire fattivamente al processo di integrazione europea e, più in generale, alla costruzione di importanti organizzazioni internazionali (si ricordi da ultimo il Tribunale Penale Internazionale).
La promozione della pace e della giustizia tra le nazioni impone all’Italia di essere un soggetto pienamente capace sullo scenario internazionale.
Per questo motivo l’articolo 11 non prevede la neutralità perpetua: diversamente dalla Svizzera e dall’Austria (dal 1955) l’Italia non è uno Stato neutralizzato.
Il ripudio della guerra come strumento di offesa non può essere inteso quale rinuncia generalizzata all’uso della forza, e ciò non solo nella prospettiva della difesa della integrità del territorio nazionale.
Per ragioni di giustizia, per difendere la libertà di altri popoli, l’Italia può entrare in guerra o partecipare ad azioni militari che implichino l’uso della forza anche senza la dichiarazione dello stato di guerra.
In tale prospettiva l’articolo 11 deve essere letto insieme all’articolo 10 che impone l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. E nel diritto internazionale, soprattutto dopo la fine della contrapposizione tra blocchi a partire dagli anni novanta del secolo scorso, si riconosce la legittimità di interventi militari finalizzati alla tutela dei diritti umani o al mantenimento della pace.

Massimo Cavino
Professore associato di Diritto Costituzionale
Università del Piemonte Orientale

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Dopo la follia sanguinaria del nazismo e del fascismo, che trascinò il mondo nella più spaventosa carneficina bellica di tutti i tempi, l’Italia, sconfitta la dittatura, riemerse faticosamente dotandosi di una delle più belle e meditate costituzioni esistenti, nel cui articolo 11 viene proclamata la sua vocazione pacifista. La nostra Carta fondamentale ha un’innata aspirazione e finalità internazionalistica. Con la sua consueta, sintetica intelligenza Calamandrei ebbe ad affermare che: “La dottrina democratica non è fatta per arrestarsi e concludersi nelle frontiere nazionali”.
L’insistenza con cui la Costituzione parla e garantisce i diritti fondamentali, all’interno ed all’esterno dei confini, non può non ribadire con forza che i predetti diritti vanno garantiti soprattutto nei confronti dei più deboli (principio in totale antitesi con il mito fascista della forza e con la violenza omicida della guerra).
Gli articoli 10 e 11 della Costituzione non lasciano dubbi sulla sostanziale vocazione pacifista della nostra carta fondamentale, scelta effettuata dopo un’approfondita discussione ed una oculatissima scelta dei termini. È altamente significativo il verbo adottato per esprimere l’assoluta contrarietà alla violenza generalizzata: RIPUDIA (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa). Il termine “ripudiare” ha un valore etico inequivocabile che, per la sede in cui si trova scritto, assume un chiaro valore politico ed un preciso significato giuridico.
Non è senza significato che la dedizione pacifista contenuta nell’articolo 11 della Costituzione abbia raccolto intorno a sé praticamente l’unanimità dei consensi dell’assemblea costituente ed in essa siano confluite ideologie diverse, da quella cattolica capeggiata da Dossetti, a quella laico-marxista in cui si riconobbe anche Togliatti.
Deve ritenersi che, proprio per la vocazione pacifista della Costituzione, qualsiasi forma di intervento armato direttamente o indirettamente rivolto a favore o contro altre nazioni, sia da valutarsi negativamente.
Basterebbe, del resto, riflettere un momento sul significato della vita e sul rispetto che alla stessa deve essere incondizionatamente portato, come ampiamente ribadito dalla Carta Costituzionale, per rendersi conto che ogni forma di repressione è un crimine contro l’umanità.
Ancora in più in netto contrasto con la vocazione pacifista della nostra Costituzione è l’autorizzazione alla produzione ed esportazione di armi e munizioni da guerra. Qui siamo all’aberrazione etica e giuridica: lo Stato, che a parole è pacifista nonché paladino dei diritti fondamentali dell’uomo, consente e agevola la produzione di armi destinate ad uccidere.In difesa di questa macabra industria di morte si porta come inaccettabile argomento l’occupazione (modesta) di maestranze specializzate e l’alta redditività delle relative imprese. Quasi che la vita umana fosse barattabile con un po’ di denaro sporco di sangue. In questa ottica di violazione dell’articolo 11 della Costituzione, si pone la decisione di procedere al respingimento collettivo degli immigranti cosiddetti irregolari, senza minimamente preoccuparsi della loro sorte nel paese da cui sono fuggiti ed in cui potrebbero trovare persecuzione e morte. Il diritto di asilo, patrimonio anche delle civiltà più antiche ed espressamente enunciato nella nostra Costituzione, è stato trasformato nel suo esatto contrario: nel rifiuto dell’accoglienza.
Le parole dell’art. 11 debbono penetrare nel cuore delle nostre coscienze e divenire parte della cultura interiore di ciascuno di noi, sino a farne costume di vita e di fede morale; uno Stato che realmente ripudia la guerra e assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni è un GRANDE Stato che merita il rispetto e la fierezza di ogni suo cittadino.

Giancarlo Ferrero
Avvocato generale dello Stato onorario