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Le alternative della nonviolenza

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Sentiamo spesso dire che “non ci sono alternative” e che in certi casi bisogna ricorrere alla violenza. Ma una lunga tradizione di ricerca che risale da Buddha a Gesù Cristo a Gandhi, a tanti altri maestri della nonviolenza, ci permette di sostenere che “ci sono alternative”.

Scegliere uno stile di vita e un comportamento nonviolento significa impegnarsi a ridurre e superare ogni forma di violenza:

la violenza diretta, quella più evidente, che si esercita direttamente e intenzionalmente sulle persone ferendole o uccidendole in un evento limitato nel tempo, di cui la guerra è l'esempio più macroscopico;

la violenza strutturale, meno evidente, conseguenza delle strutture sociali, economiche e politiche che impediscono di soddisfare i bisogni umani fondamentali. E' un processo che si protrae a lungo nel tempo e l'esempio più drammatico e spesso dimenticato è quello della morte per fame e per malattie derivanti dalla denutrizione che colpisce oltre 100.000 persone al giorno, di cui 25.000 bambini e bambine;

la violenza culturale, la più subdola e meno evidente, con la quale si giustificano le altre due forme di violenza mediante teorie razziste, giustificazione della guerra, giustificazione di modelli economici di rapina e di sfruttamento. Essa dura ancora più a lungo nel tempo, radicata in quelle tradizioni culturali che considerano un popolo e una civiltà superiore alle altre, con un mandato di civilizzazione divino, come è avvenuto nei periodi più bui della storia umana, durante il colonialismo, lo schiavismo, le violenze dei regimi dittatoriali.

Il Novecento non è stato solo il secolo delle due guerre mondiali, ma anche quello delle grandi lotte nonviolente per la liberazione dei popoli, delle donne, degli oppressi, per l'affermazione dei diritti umani senza escludere nessuno. I principi della nonviolenza non sono stati solo una guida morale ma sono diventati una pratica politica. Se qualcosa di utile abbiamo appreso dalla storia è che non basta avere buone intenzioni e ci possiamo sbagliare. Una caratteristica saliente dei metodi nonviolenti è proprio quella di permettere di ricercare la verità e di avvicinarci gradualmente a essa senza distruggere ciò che di vero è presente in un avversario col quale siamo momentaneamente in conflitto, imparando dagli errori, con comportamenti altamente reversibili. Non siamo sicuri di essere nel vero, non sappiamo se il corso d’azioni intrapreso, anche con le migliori intenzioni, produrrà i risultati desiderati, ma utilizziamo una metodologia che consente alla ricerca della verità di dispiegarsi. Questo è anche l’atteggiamento che sta alla base delle procedure di ricerca scientifica per prova ed errore, nella consapevolezza che in campo sociale le sfide sono di vita e di morte, altamente non reversibili.


Verso un futuro nonviolento

Una società nonviolenta è dunque caratterizzata dai seguenti aspetti essenziali: riduzione di ogni livello di violenza (diretta,strutturale,culturale); elevata qualità della vita e delle relazioni interpersonali; decentramento amministrativo e decisionale, capacità di autogoverno, elevato grado di partecipazione ai processi decisionali collettivi, sostenibilità e basso impatto ambientale; rispetto della vita di ogni essere vivente; modello di sviluppo e di economia nonviolenta, autocentrato, autosufficiente su scala locale, regionale, nazionale, a bassa potenza energetica e a bassa densità urbana, modello di difesa popolare nonviolenta con forze civili di pace che agiscano su scala locale internazionale.
Possiamo riassumere questo insieme di fattori dicendo che la società nonviolenta è quella dove si realizza il benessere di tutti e il potere di tutti, mediante la scelta di uno stile di vita che si richiama alla “semplicità volontaria”; più povero esteriormente, ma più ricco interiormente, spiritualmente.