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Istituzioni e pace

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Il preambolo della Carta delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, inizia con una impegnativa affermazione:
“Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne..., a creare le condizioni in cui la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale..., a unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare... che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune... abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini...”
È a questa Carta che si ispira anche la nostra Costituzione che nell'articolo 11 ribadisce che “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. E anche l'articolo 9 della Costituzione giapponese dichiara: "Il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia di un uso della forza per risolvere le dispute internazionali".
Nonostante questi solenni impegni e il grande lavoro svolto dalle Nazioni Unite che sono tuttora la principale istituzione internazionale che l'umanità è riuscita a creare per risolvere i problemi globali, il bilancio dopo oltre sessant'anni non è del tutto positivo. Dalla data di fondazione delle Nazioni Unite a oggi si contano oltre cento guerre, con decine di milioni di morti, in larga parte civili.
Le Nazioni Unite sono dominate dal Consiglio di Sicurezza costituito dalle cinque potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina) che esercitano un diritto di veto col quale hanno impedito in molti casi di attuare il mandato stesso dell'organizzazione. Questi cinque paesi sono anche quelli che posseggono il maggior numero di armi nucleari, sono responsabili dell'85% del commercio delle armi nel mondo e del 60% della spesa militare totale. Nonostante il considerevole numero di interventi dei caschi blu effettuati nel periodo successivo alla fine della guerra fredda, le Nazioni Unite non dispongono di una forza propria appositamente addestrata per svolgere compiti di polizia internazionale. Né tanto meno dispongono di forze civili di pace, quali potrebbero essere i caschi bianchi e i caschi rosa, costituiti da donne. Il bilancio annuale delle Nazioni Unite è poco più di un millesimo di quello della spesa militare annua mondiale e anche gli interventi dei caschi blu sono sostenuti da una spesa irrisoria rispetto a quella militare. Nel Consiglio di Sicurezza non è rappresentato nessun paese dell'area islamica, nonostante essa costituisca un quinto dell'umanità.
Le Nazioni Unite richiedono quindi di essere riformate per meglio adeguarsi alla realtà di un mondo che si è profondamente trasformato.
Ma l'aspetto più inquietante, denunciato da molti giuristi, è il fatto che la guerra è stata nuovamente legittimata da molti paesi, ma soprattutto dagli USA che hanno introdotto concetti come quello di guerra preventiva e guerra umanitaria giungendo anche a sostenere la necessità della tortura e continuando a praticare la pena di morte, come avviene ancora in molti altri stati, compresa la Cina.
Da dove può venire la spinta per il cambiamento necessario a rendere più efficace l'operato delle Nazioni Unite? Due sono i principali attori di questo possibile cambiamento: le istituzioni a livello locale e i movimenti di base.


Enti Locali per la Pace

Mentre le istituzioni statali anche quando agiscono con buone intenzioni mantengono l'ambiguità dei Ministeri della Difesa e degli eserciti e non hanno ancora creato il contraltare dei Ministeri della Pace e dei Corpi Civili di Pace, gli Enti Locali, Comuni, Province e Regioni, non dispongono di eserciti. In molte Regioni sono state approvate leggi regionali di promozione della cultura e dell'educazione alla pace e a livello comunale e provinciale sono stati istituiti Uffici Pace e talvolta veri e propri Assessorati alla Pace. Alcune città si sono dichiarate Città della Pace i cui sindaci partecipano a una rete internazionale di Sindaci per la Pace, sorta per iniziativa delle città di Hiroshima e Nagasaki, che si riunisce annualmente per organizzare iniziative su scala mondiale.
Nella provincia di Torino è attivo il Coordinamento Comuni per la Pace, mentre a livello nazionale agisce una rete di Enti Locali per la Pace. Poiché le risorse messe a disposizione per queste strutture sono molto carenti, numerosi gruppi, associazioni e movimenti di base collaborano attivamente con le istituzioni locali fornendo volontari che coadiuvano il lavoro degli Uffici Pace, come avviene per esempio nel comune di Alba. Una esperienza particolarmente significativa è quella del Coordinamento Comasco per la Pace, prima iniziativa in Italia che è riuscita a unire varie decine di organizzazioni del privato sociale (ONG e Associazioni) e pubbliche (Comuni) per diffondere la cultura della Pace, della Mondialità e del rispetto dei Diritti Umani nel proprio territorio e nel mondo.
Alcune delle grandi campagne lanciate da movimenti di base e sostenute anche dagli Enti Locali sono riuscite a incidere a livello internazionale. Il caso più noto è quello della Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo, lanciata nel 1992, che ha raggiunto il suo obiettivo con il Trattato di Ottawa del 1994.
La leva militare: coscrizione obbligatoria tra consenso e rifiuto


L'obbligo del servizio di leva fu esteso a tutte le province fra il 1860 e il 1862 e per molte regioni la coscrizione costituì una novità.
Gli esiti della prima leva, nel 1863, offrivano l'immagine di un paese profondamente diviso di fronte alla coscrizione obbligatoria, con un'area di consenso localizzata nella pianura padana, e una vasta area di rifiuto nei territori appartenenti in passato al Regno Pontificio e a quello delle Due Sicilie, con punte del 57% di renitenti a Napoli, 45% a Catania, 40% a Urbino e una media nazionale, secondo i dati ufficiali, dell'11%. Ma stando ad altre stime, questa percentuale dovrebbe essere raddoppiata.
La leva del 1863 dimostra dunque una diffusa insofferenza, con motivazioni diverse di rifiuto del militarismo.
Negli anni successivi, la percentuale di renitenti si riduce man mano, in seguito all'azione repressiva del governo e alla lotta contro il brigantaggio, ma il rifiuto permane e si manifesta in un'ampia casistica di simulazioni alla visita di leva sino a casi più estremi di autolesionismo.
Numerose sono inoltre le azioni di protesta durante il servizio: nel primo decennio dopo l'unità, si arriva sino a oltre novemila processi all'anno, pari al 3% dei militari in servizio. Oltre all'insubordinazione si contano numerosi suicidi, con una media annua di oltre 80 casi.
Per creare consenso e contenere il rifiuto, le autorità militari elaborano un'abile strategia basata sugli ideali di patria, virilità, iniziazione alla vita adulta, fascino della divisa. Le parate militari sono occasioni ulteriori per agire sulla psicologia popolare, come constata con amarezza il periodico antimilitarista “La Pace”:
“Le folle si compiacciono delle riviste militari, spettacolo caro ai bambini, i quali vogliono, l'indomani, i bottoni d'oro e il vestito da marinaio. Qual è mai il segreto di questa strana e infantile psicologia della folla? Quale forza trascina la madre dietro i reparti con in collo quel figlio che un giorno le sarà strappato da quegli stessi reparti e da quelle stesse musiche che oggi le rubano deliziosamente l'anima?”