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La Ferrero

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Incastrata tra colline delle Langhe, Alba, esce piagata da vent’anni di fascismo, da una guerra durissima e da una sanguinosa lotta di liberazione. Quello degli albesi, è un dopoguerra  traumatico e sacrificato, scandito da miseria, fame e ristrettezze. Nel 1945 i 15.000 abitanti hanno un reddito pro-capite tra i più bassi del nord Italia.
Una precarietà acuita dalla mancanza di un sistema industriale capace di mutare una vocazione economica prevalentemente agricola e di far fronte a una disoccupazione che, dopo la guerra, raggiunge livelli elevati. Il futuro appare incerto e per sfuggirvi non c’è che una strada: la partenza. Centinaia di giovani albesi finiscono così tra le braccia delle grandi fabbriche di Genova, Milano e Torino passando dalla condizione contadina a quella di operai industriali. È questo lo scenario che fa da sfondo alla nascita della più grande industria dolciaria italiana, la Ferrero.
E’ il 1946 quando nel piccolo laboratorio di via Urbano Rattazzi, che impiega una dozzina di operai, Pietro Ferrero dà forma alla sua idea: riuscire ad introdurre nel maggior numero possibile di famiglie italiane il consumo di cioccolato, fino ad allora riservato a una ristretta cerchia di privilegiati. Per realizzare l’intento è necessario ridurre i costi di produzione, di distribuzione e della materia prima. Pietro Ferrero ci riesce creando quello che per molti italiani sarebbe diventato il cioccolato del dopoguerra: il giandujot. Una marmellata solida, avvolta in fogli di stagnola e venduta a peso, che raccoglie un successo strepitoso. Le prime forniture non riescono a tenere il ritmo della domanda. Occorre produrre di più. È la svolta: la pasticceria di via Rattazzi si trasforma in industria. L’espansione è consolidata alla fine del 1946 quando l’azienda si trasferisce in una nuova struttura in via Vivaro: un capannone di 5.380 metri quadrati che dà lavoro a una cinquantina di operai. Le macchine girano giorno e notte, raggiungendo livelli produttivi sorprendenti: sono 2.852 i quintali di giandujot che escono nel 1947 dai cancelli dello stabilimento, che occupa un centinaio di operai.
L’utilizzo da parte dell’azienda di una grande quantità di nocciole, favorisce nell’albese il rilancio di questa coltivazione, lasciata morire durante la guerra, sia perché poco remunerativa, sia perché soggetta all’ammasso obbligatorio imposto dal fascismo. Acquistando, ed esaurendo in breve tempo le scorte accumulate nelle cascine della zona, la Ferrero incita i contadini a riprendere la coltura, creando un’altra fonte di guadagno per l’intera economia del territorio.
Il cioccolato Ferrero è oramai un prodotto di successo: nel solo marzo 1948, ad esempio, dai reparti di via Vivaro, che occupano 200 operai  escono 5.500 quintali di prodotto.
Nel 1948 l’azienda è danneggiata dall’esondazione del torrente Talloria che provoca cento milioni di danni. Si rischia la chiusura, ma nel giro di qualche giorno, le lavorazioni riprendono a pieno ritmo. Alla ripresa contribuisce il lancio, su larga scala, di un altro prodotto: la supercrema, una crema di cioccolato alla nocciola, destinata a entrare nelle case di milioni di italiani. Lo fa cambiando nome: il 20 aprile 1964 dalla fabbrica Ferrero di Alba esce il primo barattolo di Nutella.
Oltre alla qualità dei prodotti, la Ferrero deve il proprio successo anche ad una rete commerciale organizzata nei minimi dettagli che le consente di conquistare nuove fette di mercato. Il sistema Ferrero è un metodo innovativo che ha la sua figura chiave nel rappresentante, al quale l’azienda affida l’automobile, rimborsa le spese vive ed offre uno stipendio sulla percentuale delle vendite effettuate. Una modalità che consente di instaurare un rapporto diretto con il cliente e che vede il venditore non limitarsi alla sola consegna della merce, ma visitare periodicamente l’acquirente, informandosi sull’andamento dei suoi affari e monitorando l’indice di gradimento dei prodotti Ferrero.
A partire dal 1948 si riversano sulle strade d’Italia sciami di camioncini giallo crema, con la targa CN e le fiancate a strisce marroni. In pochi anni la flotta Ferrero aumenta: i 41 automezzi del 1948 diventano 154 nel 1950, 804 nel 1955, 1624 nel 1960, e 2.000 nel 1967. Si tratta del secondo parco macchine dopo quello dell’esercito.
Tra il 1950 e il 1960 la Ferrero si espande in Europa e in Italia.
Nel 1957 l’azienda sbarca in Germania, ad Allendorf, a circa centocinquanta chilometri da Francoforte, dove 5 operai, diventati 60 dopo sei mesi, iniziano la produzione nel nuovo stabilimento che lega la sua fortuna alla fabbricazione del Mon Cherì. Nel 1957 la fabbrica di Allendorf occupa 150 operai, diventati 1.200 nel 1961.
Contemporaneamente, a quello di Alba, dove nel 1960 lavorano 2.125 dipendenti, l’azienda affianca due nuovi stabilimenti con sede a Pozzuolo Martesana, in provincia di Milano e Lauro di Nola, nell’avellinese.
Nel 1967, il gruppo Ferrero produce giornalmente dai due ai tre mila quintali di cioccolato e dolciumi e impiega complessivamente 6.000 dipendenti. Nello stesso anno è inaugurato il Centro Ferrero di Pino Torinese, una struttura dove sorgono gli uffici responsabili delle statistiche e delle analisi di mercato, i laboratori per la ricerca scientifica e quelli per l’analisi. Lo sviluppo dell’azienda ha ripercussioni dirette su Alba, che inizia a vivere di cioccolato: basta bussare alle porte della Ferrero per essere assunti. Una prassi che sarà seguita da molte famiglie. La Ferrero incide anche sulla crescita demografica della città, i cui abitanti passano dai 16.466 del 1951 ai 25.000 del 1967. Numeri che evidenziano la forte attrazione esercitata dall’azienda su quella parte di popolazione attiva che, non trovando più sufficiente reddito nell’agricoltura, abbandona la campagna per la grande fabbrica trasferendosi in città. Le campagne si svuotano e centinaia di giovani compiono un passo decisivo verso l’industria, pur continuando a integrare il proprio bilancio familiare con il reddito dei campi coltivati nelle ore libere.
L’automatizzazione della produzione porta all’assorbimento di manodopera non qualificata, spesso declinata al femminile, che la Ferrero va a prendere direttamente a casa, organizzando un trasporto gratuito affidato a pulmini dall’inconfondibile color nocciola che si arrampicano sulle collinose strade delle Langhe. Nel corso degli anni, l’azienda sviluppa anche un sistema di welfare capace di seguire i lavoratori all’interno dei reparti e al di fuori della fabbrica. Realizzazioni che raggiungono i loro livelli più elevati con la costruzione, alla periferia di Alba, del Villaggio Ferrero, la creazione del CRAL aziendale, l’organizzazione di gite, pellegrinaggi e colonie per i figli dei dipendenti, e la presenza di laboratori sanitari nello stabilimento di Alba.