Menu di scelta rapida
Sei in: Home / Cultura / Esposizioni e mostre / 2011 / Percorso mostra / 1949 - 1988 Luci e ombre della democrazia / Stanza 12 / Don Milani: l’esercito, la guerra, la patria, l’obiezione di coscienza

Don Milani: l’esercito, la guerra, la patria, l’obiezione di coscienza

Link alla versione stampabile della pagina corrente

La lettera ai cappellani militari

Il 12 febbraio 1965 sul quotidiano La Nazione appare un comunicato dei cappellani militari in congedo che chiedono abbia termine quello che considerano “un insulto alla Patria, ai suoi caduti, la cosiddetta 'obiezione di coscienza' che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà”.
Don Milani che a Barbiana educa i ragazzi al pacifismo e alla nonviolenza, il 14 febbraio propone alla lettura e alla discussione quel documento.
Ne viene fuori una lettera che inizia contestando ai cappellani di aver insultato “dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo” e di aver usato “con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi”. Affronta poi il tema della Patria:
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.
Don Milani e i ragazzi esaminano “le guerre a cui è stato chiamato il popolo italiano” facendo riferimento agli articoli 11 e 52 della Costituzione e premettono:“Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in questi casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza” .
Dall'analisi delle guerre combattute dall’Italia a partire dal 1860 emerge che sono state tutte di aggressione. L'unica guerra giusta (se giusta si può dire) “l’unica che non fosse offesa alle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altro dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altro soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, “i ribelli” quali i “regolari”?”.
La lettera termina contestando la qualifica di vili rivolta agli obiettori: “Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti”.
Il 23 febbraio viene inviata come lettera aperta a 11 giornali. È pubblicata per intero solo dalla rivista Rinascita il 6 marzo. Il 15 marzo, a opera di un gruppo di ex-combattenti, scatta la denuncia per apologia di reato: di diserzione e di disobbedienza militare. Don Milani e il direttore di Rinascita, Pavolini, vengono incriminati.
È un susseguirsi di polemiche. Molto critico rimane l'arcivescovo di Firenze, Florit. Era stato lui a mandare don Milani a Barbiana per punizione. Arrivano parecchie lettere di insulti; poche le voci a sostegno della lettera, quella di Raniero La Valle è tra le più chiare e significative; sulle pagine dell’Avvenire d’Italia, di cui è direttore, scrive:“Il valore dell’obiezione di coscienza non è di scrupolo individuale, ma di annuncio profetico. Di invocazione di un mondo nel quale la guerra non sia per nessuno”. In fondo La Valle, come don Milani, non fa altro che