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Aldo Capitini e la nascita del pensiero e del movimento nonviolento in Italia

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Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 – 19 ottobre 1968) è la figura di maggior rilievo della nonviolenza italiana, al quale si deve il contributo determinante per l’introduzione in Italia del pensiero nonviolento e delle sue tecniche. Fu lui a scrivere per primo la parola nonviolenza senza stacchi, allo scopo di non connotarla come un concetto soltanto negativo.
Laureatosi in Lettere e Filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ne divenne, nel 1930, segretario, incarico che ricoprì sino al 1933, data che costituisce una svolta fondamentale della sua vita. In quell’anno perse infatti il posto di lavoro in seguito al rifiuto di prendere la tessera del partito fascista. Tra il 1933 e il 1943 il suo impegno antifascista è instancabile: una scelta che non cresce su un terreno direttamente politico, ma sulla base di un’ispirazione religiosa per contrastare l’oppressione con i metodi della nonviolenza gandhiana. Il suo primo libro, Elementi di un’esperienza religiosa (1937), illustra questa posizione, nella quale la dimensione teorica e quella pratica sono inscindibilmente congiunte. Caratteristica fondamentale della vita di Capitini sarà quella di vedere uniti nella stessa persona l’uomo di pensiero e di azione, il filosofo e il promotore di iniziative sociali, il teorico e l’organizzatore di eventi.
Durante la Resistenza, scelse di non prendere parte alla lotta armata, decisione che gli procurò non poche incomprensioni. In quest’occasione Capitini avvertì con chiarezza che l’errore che lo aveva condotto a un sostanziale isolamento stava nell’incapacità di dare vita a gruppi nonviolenti organizzati: “la lezione”, scriverà in seguito, “era che bisogna preparare la strategia e i legami nonviolenti da prima, per metterla in atto quando occorre; e nessuno può negare che in Italia nel 1924, al tempo del delitto Matteotti, e in Germania nel 1933, una vasta e complessa azione dal basso di non collaborazione nonviolenta sarebbe stata occasione di inceppamento e di caduta per i governi.” (Attraverso due terzi di secolo, 1968).
A partire dalla fine della guerra, Capitini dedicò tutte le sue risorse alla divulgazione e all’approfondimento teorico dell’idea di nonviolenza e all’edificazione di un tessuto sociale nel quale il seme dell’azione nonviolenta potesse trovare terreno fertile. Nel fare questo si mosse sempre al di fuori dell’orbita dei partiti politici, tanto che anche la sua partecipazione al movimento liberalsocialista non sfociò nell’adesione al Partito d’Azione: “sono un sostenitore del lavoro di aggiunta a quello dei partiti, che ritengo certamente utili in una società democratica, ma non sufficienti.” (In cammino per la pace, 1962).
Divenuto docente universitario, si dedicò assiduamente alla ricerca. Tra i suoi libri, Religione aperta (1955) e La compresenza dei morti di viventi (1966) espongono i punti centrali del suo pensiero filosofico e religioso.
Dopo la liberazione, nel luglio 1944, costituisce a Perugia il Centro di orientamento sociale, per coinvolgere il maggior numero possibile di persone nella discussione di qualunque problema amministrativo e sociale inerente alla comunità, nel tentativo di dar concretezza all’ideale dell’omnicrazia, il potere di tutti.
Significativo è il coinvolgimento di Capitini nell’ambito educativo: insegnò pedagogia nelle università di Cagliari e Perugia e fra i libri dedicati a questo argomento spiccano i due volumi di Educazione aperta (1967-68). Prese posizione a favore della laicità dello Stato e difese la scuola pubblica dalla pressione confessionale.
La prassi dell’educazione alla nonviolenza lo portò a promuovere effettive azioni di resistenza nonviolenta, con una particolare attenzione all’obiezione di coscienza. L’appoggio dato a Pietro Pinna, l’obiettore di coscienza processato nel 1949 e divenuto in seguito suo collaboratore, fu l’occasione per teorizzare più compiutamente il ruolo dell’obiezione. Sin dal 1952 seguì e appoggiò l’impegno sociale di Danilo Dolci in Sicilia. Nello stesso anno diede vita a Perugia alla Società vegetariana italiana e al Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza.
Nella sua attività di operatore di pace vanno ancora ricordate la costituzione del Movimento Nonviolento per la pace e, nel 1964, la fondazione e la direzione della rivista “Azione nonviolenta”, che è tuttora il giornale di riferimento dei “persuasi della nonviolenza” italiani. È stato anche presidente della Consulta italiana per la pace, una federazione di organizzazioni italiane per la pace costituitasi in seguito alla Marcia Perugia-Assisi del 24 settembre 1961.
Tutta la vita e l’opera di Aldo Capitini giustificano ampiamente la definizione di “massimo teorizzatore e attuatore della nonviolenza in Italia, ma forse anche in ambito europeo” che Mario Martini, suo appassionato studioso, ha coniato per lui.