Gli ebrei di San Martin Vésubie
“Gli ebrei stranieri che non avevano un permesso di soggiorno permanente in Francia e quelli che erano arrivati nella zona occupata dagli italiani furono inviati in resistenze coatte. Gli ebrei abitavano nelle case e nelle ville del paese, dovevano presentarsi due volte al giorno al commissariato di polizia italiano e non avevano il diritto di abbandonare il paese né di allontanarsene. A quell’epoca a san Martin c’erano circa trecento famiglie di ebrei...” (B. Halpern).
L’8 settembre 1943 giunse notizia che i soldati italiani erano sul punto di tornare in Italia: “noi pensammo che gli americani avrebbero occupato l’Italia e i tedeschi la parte della Francia che gli italiani lasciavano libera… la catena delle Alpi sarebbe stata la linea di guerra tra i tedeschi e gli americani. Noi saremmo partiti con gli italiani” (Alfred Feldmann). Restare a San Martin – scrive Halpern – “sarebbe stato un suicidio, ma dove andare? La maggioranza decise di seguire i soldati italiani”. Tra l’8 e il 13 settembre circa milleduecento ebrei civili e di ogni età e ceto sociale ripresero la fuga al seguito delle truppe della VI armata. A piedi, attraverso due differenti vie – Colle delle Finestre (m. 2471) e Colle Ciriegia (m. 2453) – i profughi arrivarono a Entracque e Valdieri, dove vennero alloggiati in caserme e con mezzi di fortuna. Ricorda Bruno Segre: “All’alba, metà dei profughi si trovava a Valdieri, l’altra metà ad Entracque. Ma quella notte i tedeschi non arrivarono e, poiché non apparvero neppure nei giorni seguenti, subentrò una certa fiducia... Il peggio si verificò poco dopo: il sesto giorno i tedeschi arrivarono, riuscendo a catturare i rifugiati di Entracque e molti tra quelli di Valdieri”. A questo punto la storia prese strade diverse. Chi si consegnò o fu catturato dai tedeschi (349 persone), venne internato nel campo di concentramento di Borgo san Dalmazzo e di qui, il 21 novembre 1943, deportato ad Auschwitz. Gli altri ebrei, nascosti principalmente in Valle Gesso, Valle Vermenagna, valle Stura furono aiutati da Don Viale e da una fitta rete di collaboratori da lui messa in piedi (da “Nella notte straniera” di Alberto Cavaglion).
“C’erano uomini e donne dai cappelli bianchi, bambini in tenera età, gente nella più gran parte ridotta in miseria… provenivano da tutte le nazioni, Polonia, Germania, Cecoslovacchia, Francia… abituati in tempi normali a una vita agiata… ora ridotti a fuggire come selvaggina inseguita dai cani e dai cacciatori su per i monti”.