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Don Raimondo Viale

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Con l’avvicinarsi dell’entrata in guerra dell’Italia, il clima politico si fa sempre più teso. Don Viale dal pulpito condanna la scelta della guerra come “un’inutile strage”, tentando di distanziare la posizione della Chiesa da quella del governo fascista. Ciò gli procura immediatamente il carcere e il confino per quattro anni in Molise.
Il 19 settembre, giorno della strage di Boves, don Viale accoglie nella canonica la salma trafugata di don Mario Ghibaudo e, rischiando un’ulteriore rappresaglia tedesca, aiuta i familiari a portarla nel cimitero di Borgo.
Dopo l’8 settembre, arrivano gli ebrei dalla Francia, dalla residenza “obbligata “ di Saint Martin Vésubie. Solo 400 si presentano alle SS ubbidendo al bando del capitano Muller, gli altri si nascondono dandosi alla macchia. Sono questi che fanno in modo di chiedere aiuto a don Viale, che li soccorre come può, cercando loro un rifugio presso famiglie amiche o in qualche baita.
Il Cardinale Fossati di Torino lo incoraggia a continuare in questa direzione, offrendo anche aiuto materiale. Da questo momento in poi, l’aiuto agli ebrei nascosti diviene una delle sue attività principali e, con la collaborazione del Vescovado di Genova, molti ebrei vengono avviati verso la Svizzera e il centro Italia. La resistenza nonviolenta è però per don Viale un atteggiamento quotidiano, costante, deciso, in ogni situazione e in ogni episodio in cui viene coinvolto; come la presenza accanto ai tredici partigiani giustiziati nel cimitero di Borgo il 2 maggio 1944, come la falsa confessione al giovane partigiano sconosciuto, liberato grazie al suo intervento.
“Noi preti non ci interessiamo dei partiti. Perciò non è questione di fascismo o antifascismo. Io combatto la violenza e non condivido come oggi si educano, anzi si diseducano i giovani. La Patria non c’entra. Essere contro la violenza, non significa essere contro la Patria...”.  “La resistenza è perciò una cosa sacra, è un elemento di vita che conserva la vita, e respinge tutto quello che è contrario alla dignità umana e alla vita stessa”. (Nuto