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Resistenza civile

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Resistenza civile è il termine oggi usato per indicare l'area dei comportamenti conflittuali delle popolazioni che in tutta l'Europa sotto dominio nazista accompagnano, a volte precedono, la Resistenza armata, e che si valgono non delle armi ma di strumenti immateriali come il coraggio morale, l'inventiva, la duttilità, le tecniche di aggiramento della violenza, la capacità di manovrare le situazioni, di cambiare le carte in tavola ai danni del nemico. Le donne attive in questo campo sono molte di più di quelle integrate nella Resistenza e riconosciute come tali.
Il termine abbraccia un ventaglio di comportamenti eterogenei, apparentati essenzialmente dal fatto di essere compiuti senza armi da soggetti a loro volta così diversi che ad accomunarli è quasi solo la condizione di cittadini di uno stesso paese: sono uomini di varia età, ceto, cultura, posizione professionale, politicizzati e non; a volte bambine e bambini; religiosi e religiose; ma soprattutto donne, proletarie e aristocratiche, contadine e borghesi, spinte dalla necessità di provvedere a se stesse e alla famiglia e spesso più capaci di esporsi, anche perché contano, talvolta illudendosi, sul minore sospetto che tradizionalmente desterebbe la figura femminile.
Nei venti mesi dopo l’8 settembre, la Resistenza civile italiana assume svariate forme. Tra queste, sabotaggi e scioperi per ostacolare lo sfruttamento delle risorse nazionali perseguito dai nazisti; tentativi di impedire la distruzione di cose e beni essenziali per il dopo; lotte in difesa delle condizioni di vita; isolamento morale del nemico, una pratica decisiva per minarne la tenuta psicologica; rifiuto da parte di magistrati e altri dipendenti pubblici di prestare giuramento alla repubblica di Salò. Spiccano in particolare le seguenti iniziative: la protezione verso chi è in pericolo; la lunga ospitalità offerta ai prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento italiani dopo l'armistizio; l'aiuto agli ebrei, banco di prova della Resistenza civile in tutta Europa; l'appoggio alle formazioni partigiane. Sarebbe dunque riduttivo considerare la Resistenza civile come separata e contrapposta a quella armata.
Prevale l'azione individuale. C'è chi opera in modo estemporaneo, come la parrucchiera che durante una retata nasconde un partigiano fra le clienti. Chi in modo continuativo, come la diciottenne impiegata di uno stabilimento ausiliario che va regolarmente al comando tedesco a chiedere i lasciapassare per gli operai, e sistematicamente inserisce nell'elenco dei partigiani e qualche ebreo.


Risultati e costi

Variano anche i risultati: si salvano persone e si vanificano i piani nazisti, come quando le donne di Carrara resistono agli ordini di sfollamento totale emanati nel luglio '44 per garantire alle truppe tedesche una via di ritirata attraverso territori sgombri; si strappano miglioramenti delle condizioni di vita e si delegittimano le istituzioni di Salò.
Si tratta nel suo insieme di un enorme lavoro di tutela e trasformazione dell'esistente, vite, rapporti, cose, che si contrappone sul piano sia materiale sia simbolico alla terra bruciata perseguita dagli occupanti. Le conseguenze possono andare dalla denuncia alla deportazione e alla pena di morte per chi fornisca documenti falsi ai ricercati, dia aiuto a partigiani o (decreto di Salò del 9 ottobre 1943) procuri rifugio a prigionieri e militari alleati o ne faciliti la fuga.
Alcune donne vengono arrestate; qualche soccorritore dei prigionieri di guerra viene ucciso. La piemontese quindicenne Natalina Bianco, "colpevole" di aver portato viveri ai fratelli partigiani, finirà a Ravensbrück; così la studentessa padovana Milena Zambon, attiva in una rete che fa passare in Svizzera i prigionieri alleati. Nell'ordine senza diritto imposto dall'occupazione, basta un rifiuto occasionale di obbedienza a innescare ritorsioni gravi.
“L'impegno nella Resistenza civile può dunque contare e costare quanto quello nella Resistenza armata. Ma dei suoi protagonisti e del loro destino sappiamo ancora poco, e quel poco a volte emerge per caso, come avviene nel 1998 con la storia dell'agente di custodia di san Vittore Andrea Schivo, deportato e ucciso a Flossenburg per aver "agevolato i detenuti politici ebrei coi loro bambini soccorrendoli con delle uova, marmellata, frutta, di tutto quanto poteva essere possibile e utile". (Luciana Laudi, Un giusto, in “Ha Keillah”, 3, 1998)


I resistenti e le resistenti civili in Italia

Per quanto riguarda l'Italia, un rilievo particolare hanno avuto i deportati, gli Internati Militari Italiani in Germania, ma anche molti soggetti imprevisti: come quegli impiegati pubblici che all'indomani dell'8 settembre riempiono centinaia di fogli di via con i nomi degli sbandati, per farli viaggiare verso casa come se fossero in regolare licenza. Oppure quei dipendenti comunali romani che, ben prima di essere coordinati dal Comitato di Liberazione Nazionale, organizzano un ingegnoso sistema per procurare ai ricercati una "regolare" falsa identità, scegliendo per il domicilio edifici bombardati e evacuati, per il luogo di provenienza irraggiungibili comuni a sud del fronte, per gli stati di famiglia numeri d'ordine di serie anteguerra. E ancora, quei loro colleghi che insieme agli sterratori del Verano disseppelliscono le bare dei fucilati cui i nazisti vietano di apporre segni di riconoscimento, le aprono, prendono nota delle ferite, dei tratti fisici, dei vestiti, e le contrassegnano perché possano essere identificate in futuro.
Di anno in anno, la lista degli episodi di resistenza civile si accresce con nuove testimonianze, taciute a lungo sia per riservatezza sia perché scavare nella memoria di quei tempi bui è sempre doloroso. Tra i contributi che si sono man mano aggiunti ricordiamo: il medico Carlo Angela di San Maurizio Canavese; il pastore protestante Lucio Schirò d’Agati antifascista e resistente di Scicli, in Sicilia; Kira una giovane donna che sostenne i partigiani nel canavese; il medico ebreo Simone Teich Alasia che svolse la sua opera clandestina nelle Valli di Lanzo.
Un ruolo particolare che si va riscoprendo e documentando è anche quello della resistenza civile di uomini e donne di chiesa che diedero rifugio nei conventi a ebrei perseguitati e collaborarono con i partigiani. Un’intensa attività di questo tipo si svolse in vari luoghi del cuneese, come il convento delle domenicane di Morozzo.