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L’antifascismo

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Dopo il 1925 ogni opposizione al fascismo è considerata un delitto contro lo stato. Nel novembre 1926 viene creato uno speciale corpo di polizia destinato alla lotta contro l’antifascismo.
Unica grande opposizione tollerata fu quella di Benedetto Croce, all’inizio sostenitore del fascismo poi oppositore. La sua fu un’opposizione culturale, intellettuale senza un esplicito impegno politico.
Il 1° maggio 1925 compare sulla rivista Mondo il cosiddetto Manifesto Croce, come risposta di vari intellettuali al Manifesto Gentile che era stato redatto da Gentile alla fine di un convegno sulla cultura fascista, svoltosi a Bologna nel marzo del 1925 e che voleva essere la dichiarazione ideologica del fascismo. L’obiettivo di fondo del Manifesto Gentile era di organizzare gli intellettuali come veicolo di consenso. Per Mussolini la democrazia era una degenerazione del liberalismo; l’aver dato il voto anche agli analfabeti voleva dire far degenerare l’aristocrazia dell’intelletto che poteva essere difeso solo da uno stato forte. Molti intellettuali aderirono al manifesto Gentile.
Il manifesto di Croce rivendicava con forza l’autonomia della cultura. La libertà di critica, la libertà di stampa erano ritenute fondamentali per evitare la deriva totalitaria del pensiero unico.
Un tenace antifascista fu lo storico Gaetano Salvemini (Molfetta 1873 – Sorrento 1957). Nelle opere La dittatura fascista in Italia (1927), Mussolini diplomatico (1932), Sotto la scure del fascismo (1936) analizza nascita e sviluppo del fascismo, descrivendolo come regime oppressivo sviluppatosi per le debolezze del regime liberale.
Dopo l’assassinio di Matteotti, con Ernesto Rossi e i fratelli Rosselli promosse e diffuse il primo bollettino clandestino antifascista Non mollare. Arrestato, processato (e uscito poi per amnistia), riuscì a espatriare in Francia nell’agosto del 1925. Il regime nel 1926, dopo avergli tolto la cattedra di storia moderna, lo privò della cittadinanza e gli confiscò i beni. Dalla Francia, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti egli continuò il suo lavoro di storico e instancabilmente denunciò all’opinione pubblica mondiale lo stato totalitario fascista.
Come lui dovettero emigrare grandi personalità antifasciste della politica italiana: Francesco Saverio Nitti, Luigi Sturzo, Piero Gobetti (che morirà a Parigi nel 1926 per i postumi di una bastonatura), i socialisti riformisti Filippo Turati e Claudio Treves, Pietro Nenni, l’ex ministro degli esteri Carlo Sforza.
Dal confino di Lipari fuggirono nel 1929 Carlo Rosselli e Emilio Lussu; Alcide De Gasperi si rifugiò in Vaticano.
Nel 1927 in Francia sorse una concentrazione antifascista per iniziativa del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (riformista), del Partito Socialista Italiano (massimalista) e del Partito repubblicano; essa agirà soprattutto come momento di propaganda fuori d’Italia, non riuscendo ad agire in Italia per mancanza di un’organizzazione clandestina.
Carlo Rosselli e Emilio Lussu, dopo la fuga da Lipari, dettero vita al movimento Giustizia e Libertà, al quale aderirono socialisti, repubblicani, democratici.
Carlo Rosselli, in un’opera del 1930, Socialismo liberale, indicava la necessità di un socialismo che respingesse l’economicismo e il fatalismo marxisti, che fosse capace di coniugarsi con la libertà politica. Giustizia e Libertà rifiutava la restaurazione del vecchio regime liberale considerato conservatore e oligarchico e auspicava la repubblica, la democrazia politica e profonde riforme sociali (riforma agraria, nazionalizzazione delle grandi imprese capitaliste e monopoliste). Sosteneva inoltre la lotta immediata al fascismo con la creazione di organizzazioni clandestine in Italia.
Alcuni esponenti di Giustizia e Libertà compirono azioni dimostrative clamorose, come l’attentato al principe di Piemonte, compiuto da Ferdinando de Rosa nell’ottobre del 1929 a Bruxelles e il volo su Milano di Giovanni Bassanini nel luglio 1930 con lancio di manifestini.
L’azione più organica contro il fascismo fu quella compiuta dal Partito Comunista Italiano.
Gramsci nelle Tesi di Lione (1926) indicò nel fascismo la punta più avanzata della reazione italiana; considerava la prospettiva rivoluzionaria ancora del tutto aperta e attribuiva il fallimento della rivoluzione negli anni 1919-1920 all’indecisione e incapacità dei socialisti italiani.
Per Gramsci, i comunisti dovevano mettersi a capo di un blocco rivoluzionario guidato da operai alleati con i contadini. Dopo le leggi che soppressero i partiti politici, i comunisti si diedero un’organizzazione clandestina e lavorarono molto all’estero, soprattutto a Parigi.
A Milano nel 1927 ricostituirono la C.G.L. Il PCI lavorava in vista di una rivoluzione imminente, per questo Togliatti dopo la crisi del 1929 inviò molti dirigenti in Italia, ma essi vennero decimati dagli arresti.
La crisi economica non aveva portato né al crollo del fascismo, né alla rivoluzione proletaria.
Anche se gran parte dell’antifascismo fu di sinistra, molti furono gli oppositori cattolici e di matrice conservatrice.
Antifasciste diventarono anche le minoranze etniche non tollerate dal fascisti.
Antifascisti furono gli abitanti dell’Alto Adige, dove fin dal 1923 i nomi geografici tedeschi erano stati cambiati in italiano.
Antifascisti furono le minoranze del Friuli Venezia Giulia. Il vescovo di Trieste, Fogar, difensore dei diritti delle minoranze, era stato sostituito nel 1926 da un vescovo più malleabile. Dalla cultura cattolica emersero poi le figure di Giuseppe Dossetti e di Giorgio la Pira.