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Le fabbriche nella seconda guerra mondiale

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Il 10 giugno 1940, dichiarando guerra alla Francia e all’Inghilterra, l’Italia fa il suo ingresso nel secondo conflitto mondiale. Una guerra rapida e vittoriosa, secondo i toni della propaganda fascista, rivelatasi in realtà lunga e stremante per l’intera popolazione italiana, chiamata ad intrecciare con essa un rapporto diretto e privo di mediazioni. Una guerra cha ha bisogno di uomini e di armi. La produzione bellica favorisce lo sviluppo del settore  metalmeccanico che ha le maggiori imprese dislocate lungo l’asse nord-occidentale del paese. Nella sola città di Torino la manodopera impiegata negli stabilimenti metalmeccanici con più di 500 addetti aumenta sensibilmente, passando dalle 98.835 unità del 1938 alle 125.126 del 1943. Un effetto trainante che non sembra avere riflessi diretti sul panorama industriale del territorio cuneese, dove soltanto la SNOS riceve commesse consistenti, tali da determinare un aumento della produzione e un ampliamento degli impianti.
A fare le spese della nuova avventura bellica dell’Italia fascista è il settore agricolo, perno principale della vita economica del territorio. Carenza di manodopera maschile, difficoltà di approvvigionamento di mangimi, fertilizzanti, macchine e combustibili rappresentano le problematiche maggiori con cui le aziende agricole sono chiamate a misurarsi. Un quadro reso più drammatico dalla caduta dei livelli produttivi e dalla crescente diminuzione del patrimonio bovino, con effetti diretti sul piano economico e  sui regimi alimentari della popolazione costretta a ricorrere sempre più al mercato nero. Una situazione cui non riescono a far fronte i flebili provvedimenti mussoliniani (calmieramento dei prezzi, ammassi e tessera annonaria) che creano difficoltà crescenti, alimentando preoccupazioni e inquietudini che sfociano in dissenso nei confronti del regime.
Il disfacimento di ogni legittima autorità statale seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, gli efferati tratti dell’occupazione tedesca sostenuta dalla Repubblica di Salò, l’affacciarsi sulla scena delle prime formazioni partigiane sulle montagne cuneesi, contribuiscono a rendere ancor più buia la situazione. Tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 l’intero territorio cuneese, nel quale alcune aziende (è il caso della Piaggio ad Alba e Bra, della Fiat Ricambi a Paesana e dell’Ansaldo a Beinette) trasferiscono i loro impianti  per sottrarli al fuoco delle bombe alleate, è falcidiato da una sanguinosa guerra civile che causa gravi disagi all’intero sistema economico e produttivo trovatosi, a guerra finita, a dover fare i conti non solo con un sistema viario e ferroviario danneggiato, ma anche con le distruzioni subite dagli impianti di produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Elementi che rendono difficoltosa e rallentano la ripresa dell’economia locale.