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Donne e pace. Esperienze e percorsidi lotta e di resistenza

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“... come donna non ho patria. Come donna non voglio
una patria. Come donna la mia patria è il mondo intero”.

"Non obbedirò mai ad una legge che non ho potuto contribuire in alcun modo a formulare; rifiuterò l'autorità della corte che vuole farla rispettare; se mi manderete in prigione per questo io ci andrò, ma per nessun motivo accetterò di pagare multe o cauzioni".

È Gandhi stesso che, in un articolo su “Indian Opinion” nell'ottobre 1906, riporta queste affermazioni della suffragista inglese Cobden Sanderson, arrestata nello stesso anno dopo una manifestazione per rivendicare il diritto di voto alle donne in Gran Bretagna.
Egli infatti, colpito dalla forza morale e dalla determinazione di queste donne, le porta a esempio per spronare i propri connazionali indiani a praticare il satyagraha (lotta nonviolenta che si ispira alla forza della verità) in Sudafrica.
Quando le donne, in epoca contemporanea, compaiono come soggetto sulla scena politica lo fanno utilizzando metodi tipicamente nonviolenti.


In Europa

“Nei primi pochi anni, il movimento militante fu più un risveglio religioso che un movimento politico, suscitava emozioni, alimentava passioni, sollecitava quella corda dell'animo umano che risponde al grido di guerra della libertà. Fu un autentico moto di riforma, guidato da donne sincere, disinteressate, disposte al sacrificio.”
Così scrive una delle protagoniste del movimento delle “suffragette” (termine spregiativo usato dal “Daily Mail”), Annie Kenney, figlia di operai e impegnata nel sindacato tessile. Insieme a Christabel Pankhurst, compie la prima azione che dà inizio alla fase attiva del movimento: il 13 ottobre 1906 interrompono a Manchester il comizio di sir Edward Grey con la domanda sul voto alle donne, facendosi arrestare.
Negli anni seguenti applicarono molte tecniche di azione nonviolenta: manifestazioni, boicottaggio delle tasse, incatenamento alle griglie dei palazzi del potere, sciopero della fame, sino all’atto estremo di Emily Wilding Davison che l'11 giugno 1913 si butta sotto il cavallo del re.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il movimento suffragista si divide: una parte di esso decide di mettersi al servizio della patria mentre un'altra darà luogo alla sezione inglese della Women’s International League for Peace and Freedom, nata al Congresso internazionale delle donne pacifiste dell'Aja (1915).
Tra le figure più significative spicca quella della statunitense Jane Addams, riformatrice sociale sulla scia di Ruskin, William Morris e Tolstoj, che ricevette il premio Nobel per la pace nel 1931.
Un’altra donna che all’inizio del Novecento ricevette il premio Nobel per la pace (1905) per il suo impegno culturale di appassionata divulgatrice delle idee pacifiste è la scrittrice Bertha von Suttner, il cui famoso romanzo di guerra contro le atrocità della guerra, Abbasso le armi!, del 1889, fu pubblicato per la prima volta in Italia nel 1897.


In Italia

In Italia il primo diritto reclamato dalle donne fu il suffragio “e la battaglia per il femminismo diventò la lotta per il voto. Dal 1861 al 1919 la questione fu discussa in Parlamento non meno di 20 volte ed echi della campagna per i diritti civili e politici si trovano in quasi tutti i giornali femminili”.
Nonostante la forte pressione esercitata dalla retorica patriottica per indurre le donne a dare il loro consenso e sostegno alla guerra, sorsero gruppi che si opposero impegnandosi per la pace, sia in modo diretto ed esplicito sia partecipando a mobilitazioni popolari contro la guerra, come quella dell'agosto 1917 a Torino, fortemente animata dalle donne.
Nel travagliato primo dopoguerra, attraversato da violenze squadriste e denso di aspri conflitti sociali, che culminano a Torino con l'occupazione delle fabbriche, Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina raccontano un episodio esemplare di “disarmo morale” della Brigata Sassari, mandata a reprimere lo sciopero operaio del 1920 a Torino:
“attraverso una compagna che aveva un'edicola lì vicino, Gina Barbero, ci siamo rese conto che il 70% di questi soldati era analfabeta… vedendo che i ragazzi non sapevano neppure leggere, Gina si è offerta di scrivere a casa per loro; ha chiesto poi se avevano bisogno di qualcuno che cucisse o lavasse i loro indumenti. Sono stati felici di quest'offerta, ma noi mettevamo nei pacchi di biancheria in restituzione dei bigliettini con su scritto "non sparate: sono anche vostri fratelli!" oppure "non sparate: combattono anche per voi!" Andavano naturalmente a farseli leggere all'edicola; e noi ci trovavamo lì e cominciavamo un discorso politico. Si è fraternizzato davvero e alcune di noi hanno accettato anche l'invito di una passeggiata romantica. Nel borgo molti ci chiamavano, con rimprovero, le morose dei soldà, ma la brigata Sassari si è poi rifiutata di sparare contro i lavoratori e per questo è stata allontanata da Torino e smembrata. Ricordo la gioia che ha avuto per questo successo Rita Montagnana: "non hanno sparato!" era proprio entusiasta”.