La Chiesa
La storia
A seguito di una prima cappella fatta costruire dai Francescani già sul finire del XIII secolo e di una fase trecentesca rilevata dai recenti scavi, un nuovo ed ampio monumento di culto fu edificato nel cuore storico di Cuneo nei primi anni del Quattrocento. Famiglie e compagnie legate ai confratelli iniziarono da subito ad acquistare il patronato degli altari e a far decorare le cappelle. Nel 1583 Monsignor Gerolamo Scarampi vide così un edificio ricco e compiuto, con altari decorati da icone sacre e cappelle affrescate.
Nel Seicento venne ricostruito il porticato del chiostro a ponente, affrescate le lunette con Storie di San Francesco e nella Chiesa furono aggiunte alcune cappelle in tipico stile barocco.
Con la fine del Settecento si apre invece il periodo più travagliato per il monumento: dopo forti rimaneggiamenti il governo napoleonico requisì la Chiesa adibendola a quartiere militare. Risalgono a questi anni anche la perdita e la dispersione di molti dei preziosi arredi interni al monumento e al vicino convento, che venne definitivamente abbandonato dai Frati Minori Francescani nel 1851, anno in cui fu soppressa la già tanto esigua comunità conventuale. Il cuneese Distretto Militare instaurerà la propria sede nel chiostro del convento, utilizzando la Chiesa come deposito.
Nel 1928-1929 furono eseguiti i primi restauri che interessarono soprattutto la facciata; il Comune acquistò l’edificio nel 1967 provvedendo immediatamente ad un generale lavoro di risistemazione e di risanamento. Fu nuovamente l’Amministrazione cittadina a finanziare negli anni Settanta e Ottanta altri interventi di recupero e di scavo archeologico.
La Chiesa di San Francesco è ora fruibile a seguito di una lunga serie di lavori di ristrutturazione e di restauro, iniziati nel 2009, realizzati grazie al generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e diretti dalle Soprintendenze per i Beni Architettonici, per i Beni Storico Artistici e per i Beni Archeologici del Piemonte.
La facciata
Una vicenda complessa, che si protrasse per mezzo secolo, segna la sistemazione della facciata del monumento. Nel 1481 i fratelli Zabreri di Pagliero consegnarono il portale in pietra, sobrio ma connotato dagli stemmi cittadini ancora visibili. Pochi anni dopo venne aggiunta una serie di elementi decorativi in terracotta, atti a rifinire le cornici superiori e i pinnacoli. Molto probabilmente ai Sormano di Como si deve l’inserzione dei cherubini e delle candelabre presenti nella parte superiore della struttura. Si ipotizza inoltre che la lunetta al di sopra del portone, oggi perduta, contenesse un bassorilievo, forse raffigurante una Madonna in trono o lo stesso San Francesco, la cui scomparsa viene denunciata da Monsignor Alfonso Maria Riberi nei primi decenni del Novecento.
La facciata è stata oggetto di un complessivo intervento di restauro nei primi anni del 2000.
Lo scavo archeologico
Di grande impatto emotivo è l’interno dell’edificio di culto, diviso in tre navate: la sezione laterale sinistra lascia a vista una parte dello scavo archeologico, fruibile mediante un percorso a passerella in vetro. Un approccio attivo e coinvolgente rende visibili i resti della Chiesa più antica, evidenziando il punto di giunzione fra le due costruzioni lungo l’attuale muro perimetrale. Il recente scavo in estensione dell’edificio ha rilevato la presenza di due pavimentazioni in cocciopesto e malta, riferibili a due diverse fasi di vita dell’impianto trecentesco, e di numerose tombe a cassa, esternamente alla muratura meridionale della Chiesa. Alcune di queste verosimilmente presentavano arredi e cappelle fuori terra ed erano riparate da un porticato. Oltre alle numerosissime sepolture relative all’impianto primo quattrocentesco dell’edificio, altre novità sono emerse in corrispondenza dell’abside maggiore della Chiesa attuale, fulcro da cui prese avvio la ricostruzione del complesso nel primo decennio del XV secolo, con il ritrovamento di un impianto per la fusione delle campane. Un apprestamento artigianale analogo, riportato alla luce nella navata centrale, vicino alla facciata, è di cronologia più tarda. L’indagine ha restituito molteplici tombe di famiglia, ad oggi in fase di studio anche nelle seicentesche cappelle laterali.
Il ciclo pittorico
I recenti restauri dell’apparato decorativo hanno permesso di completare il discorso figurativo già magistralmente condotto da Pietro da Saluzzo con le sue Storie della Passione, raffigurate nel 1472 sul soffitto della cosiddetta “Cruciata”, dedicata alla Confraternita di Santa Croce. A queste si aggiungono il San Francesco e il San Bartolomeo ora recuperati nel sottarco della seconda cappella a sinistra (1), dedicata ai Santi Innocenti, da ricondurre alla prima maniera di Pietro da Saluzzo, come anche i lacerti sul secondo pilastro della navata sinistra, raffiguranti un San Michele e un santo vescovo.
La scoperta tuttavia più sorprendente è l’intera decorazione della quinta cappella della navata destra, dedicata a San Bonaventura e affrescata con i Dottori della Chiesa (2), ritratti entro studioli arredati con seggi, mobili e accessori. Lo stile è quello di un Pietro da Saluzzo più tardo, al quale si affianca la personalità di un altro pittore, cui sono riferibili particolari precedentemente non riscontrati nella bottega dei Pocapaglia.
Ascrivibili invece a quest’ultima sono le decorazioni a motivi geometrici policromi riemersi dalle volte della navata maggiore (3) e della cappella del nome di Gesù (quarta della navata di destra, 4).
Infine, sulla parete sinistra della cappella al di sotto del campanile è ora recuperato un riquadro affrescato, sormontato da un angelo accanto a una torre. All’interno è una serie di quadrilobi disposti a semicerchio con al centro Cristo Benedicente ed ai lati alcuni santi con filatteria. In basso è un santo vescovo entro una nicchia quadrilobata affiancata da un'altra figura. Lo stile dell’opera rimanda al gotico lineare dei primi anni del XV secolo (5).
Arredi e celebrazioni
L’ampia navata centrale attrae lo sguardo del visitatore verso l’abside terminale che in antico ospitava il celebre crocifisso quattrocentesco, di cui ora è presente il calco in gesso su croce in legno massello (6).
La riapertura al pubblico del monumento è anche occasione per ricollocare a pavimento due delle lapidi celebrative che nel Seicento furono commissionate e introdotte nella Chiesa da famiglie notabili del tempo: i Corvo e i Malopera.
Nella navata sinistra, oggi sotto la vetratura dello scavo archeologico, è visibile l’epigrafe sepolcrale e celebrativa di Massimiliano Corvo, datata al 1623 (7). E ancora, davanti alla cappella Mocchia, l’ultima della navata destra, è ubicato a terra il monumento funebre del cavaliere gerosolimitano Gasparre Malopera, creato fra il 1547 e il 1678 d.C. (8).
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